Roberto Scappin e Paola Vannoni, che sono Quotidiana.com, compiono una audace incursione nell’ambiguità del femminile, o meglio nella fluidità dell’immagine del divino alle prese con coscienze, come quelle appunto femminili, che mal si adattano a dogmi e convenzioni, rifiutando il manicheismo delle identità consolidate e del giusto posizionamento in società che si vorrebbero, ovvero si vogliono leggere, come “naturalmente” giuste e dunque “politicamente” corrette.
Cosa sarebbe successo se il Figlio di Dio fosse stato la Figlia di Dio, se Gesù si fosse dunque incarnato femmina? Forse avrebbe rifiutato il sacrificio per non sottomettersi al volere del Padre così mettendo in discussione sin dal principio quel patriarcato che ha costruito per millenni le nostre esistenze e le nostre identità.
In una scena completamente vuota, come temiamo sia l’universo stesso, tranne due sedie, due figure discutono e immaginano, prigioniere di quella fallace indeterminatezza del divino che si vorrebbe senza genere (Dio è anche madre disse un famoso Papa nei pochi mesi del suo fugace pontificato) ma che in realtà permane rigidamente maschile.
La drammaturgia così si scontra con l’impossibilità della differenza, sulla difficoltà a concepire un ribaltamento dentro a coscienze terrorizzate dalla perdita e dal nulla e pronte a rifugiarsi nel consueto.
Una drammaturgia spiazzante e perturbante, sostenuta da un testo ben articolato in cui l’ironia è l’arma stessa della comprensione ed il cui stare sempre sottovoce si insinua come un tarlo nello spettatore, costretto talora a rifugiarsi proprio nella risata per ritrovare quell’ equilibrio sempre sul punto di perdersi.
Al suo interno i due protagonisti senza nome, appunto Roberto Scappin e Paola Vannoni, manovrano con grande abilità suoni, movimenti corporei e percorsi scenici dando quasi visibilità pittorica alla parola recitata.
Spettacolo del 2016, ben si incastona nella ricerca di questo gruppo riminese che articola la parola drammatica come un grimaldello per scardinare certezze e riaprire discorsi, anche teatralmente, chiusi troppo in fretta o forse addirittura mai aperti.
Allo spazio Bruno di Albenga il 24 marzo per la stagione di Kronoteatro che il suo Direttore Artistico, Maurizio Sguotti, ha quest’anno concepito in maniera assai innovativa nei contenuti e assai attraente nelle forme.
(Maria Dolores Pesce, 25 marzo 2017, dramma.it)
Lei è Gesù. La catechesi di Quotidiana.com
Una copia della Bibbia e un numero di Vogue. Questa l’immagine che lancia Lei è Gesù, capitolo conclusivo del trittico Tutto è bene quel che finisce, e che resta impressa alla fine dello spettacolo il cui debutto è stato presentato alFestival Primavera dei Teatri di Castrovillari 2016. Il nuovo lavoro di Quotidiana.com, al secolo Roberto Scappin ePaola Vannoni, calca i contorni di quello che ormai è divenuto un codice apprezzato e affermato, che sta valendo al duo una considerevole produttività.
Nel loro immaginario ci sono sempre e solo loro due. Sono loro, ma sono tutti. Parlano di sé ma parlano di tutti. Gli argomenti non vengono semplicemente affrontati, vengono circondati, avvicinati languidamente, lusingati e poi trattati dialetticamente con uno speciale siero che mescola ironia, cinismo, disincanto, surrealismo e una sorta di superiore tempra mistica, pacata eppure crudele, misurata ma letale.
Una tesi non manca mai nella ricerca dei due artisti e non tarda a essere dichiarata. In questo caso, per farla finita con una certa impostazione maschilista della società di stampo religioso, Lei è Gesù si interroga sull’opportunità che una donna possa essere giusta anche come Gesù Cristo.
Ma nel caso di Quotidiana.com – e per chi scrive questa è una nota di valore – non si può scorporare la riflessione sul messaggio lanciato da quella sulla forma. Nei tre puntuali contributi critici che aprono la pubblicazione dei testi della Trilogia dell’inesistente, Graziano Graziani definisce questo tipo di dialogo un «solipsismo a due voci», dunque un travestimento del dialogo stesso, un falso movimento linguistico: una sorta di pensiero interiore si manifesta a parole e infatti usa sempre una voce sussurrata, ovattata. La scena quasi vuota e una luce acida che bagna solo le due sedie e la lingua di tappeto nero che le ospita fungono così da camera ottica per un ascolto che non ammette distrazioni e al contempo ammette e accoglie una disposizione supina dell’attenzione, sempre a un passo dalla sonnolenza, al punto che qualche spettatore mette in discussione la sostenibilità dell’ora e mezza di durata.
Ma la chiave è proprio qui. Il piano visivo/uditivo e quello drammaturgico interagiscono millimetricamente nello stesso dispositivo, si incontrano a un passo dal concetto e se lo litigano: a volte la sapiente costruzione ritmica e strutturale (come ad esempio la divisione in dieci comandamenti) portano avanti il ragionamento, a volte la visione subacquea e il moto ondulato del parlato hanno la meglio e ne interrompono crudelmente la chiusura.
La novità di questo esperimento rispetto a quello precedente è l’attivazione, nei due corpi, di un sistema pantomimico che, ancora una volta, non fa linguaggio a sé. Le parole sono accompagnate da minute coreografie, piccoli almanacchi di gesti che si reiterano con sottili variazioni, da raccogliere in unisoni o da usare per mettere un punto all’immagine e andare a capo.
In questa forma contraddittoria di teatro minimale che ragiona sui massimi sistemi la coerenza abita su un piano strutturale. È lì che contenuto e forma si incontrano. Scrive acutamente Simone Nebbia nello stesso libro citato: «La drammaturgia è per tanto non una trasformazione del reale, ma una sorta di affiancamento misurato […] il loro teatro è linguistamente in sottrazione, ma nei contenuti non si pone limiti». Se ci si lascia galleggiare nella melassa di questo cabaret filosofico, ecco anche ritrovato l’asse tra la Bibbia e Vogue: una predica l’inferiorità della donna, l’altra la sua affermazione nella fulgida apparenza di una giacca da tailleur. Entrambe, quindi, realtà aberranti.
Nella Nazareth degli anni Zero, «Gesuina» non se ne sarebbe andata in giro da sola per il mondo a impartire lezioni, sarebbe rimasta a casa a lavorare all’uncinetto, avrebbe rinunciato forse a farsi crocifiggere per salvare il mondo, la storia della donna nella Storia sarebbe stata diversa. E forse anche quella dell’uomo, rimettendo in crisi tutto. Al punto che una teologa, tra gli spettatori , ha commentato: «Avete fatto catechesi».
(Sergio Lo Gatto, 9 giugno 2016)
Lei è Gesù / Mai credere al primo messia che incontri
A Primavera dei Teatri, edizione numero diciassette, Paola Vannoni e Roberto Scappin (ovvero Quotidiana.com) indagano la possibilità femminile di ricoprire ruoli storicamente maschili e decidono di partire davvero dall’alto, dal ruolo iconografico (e maschile) per eccellenza cioè il Messia.
Lei è Gesù è il capitolo finale della trilogia “Tutto è bene quel che finisce”, iniziata conL’anarchico non è fotogenico e proseguita con Io muoio e tu mangi. Il primo capitolo ci invitava a staccarci dai parametri consolidati della bellezza, dell’etica e della ideologia per considerare il valore del difforme. Il secondo ci apriva la mente alla richiesta di una buona morte, ma anche alla consapevolezza di una politica che spesso approfitta della credulità del popolo. Nel terzo capitolo, il godibilissimo e feroce Lei è Gesù, il duo riminese propone un Gesù donna, la “ribattezzata”, memorabile e caustica, spiazzante e spiazzata Gesuina.
Con un uso sapiente del corpo, gesti lenti e misurati nel tempo né rattrappito né inutile di dialoghi di gran livello (ora serrati e ora dilatati, diretti, intinti di volta in volta nel comico, nel sarcastico, nel surreale, nel lieve e nel profondo), Paola Vannoni e Roberto Scappin ripercorrono, ribaltandola, tutta l’ortodossia iconografica della vita terrena di Gesù, partendo dal suo momento più importante, la crocefissione. Con il suo pragmatismo tutto femminile, Gesuina rifiuta l’estremo sacrificio ritenendo di dover fare un suo percorso autonomo, senza mettersi «in competizione con Gesù uomo, senza avere davanti questo mito». La competizione fuorviante con gli uomini è lo scoglio che fa spesso naufragare i tentativi delle donne di ricoprire ruoli storicamente non codificati per il proprio genere. Spinte dal comune sentire si ritrovano ad imitare gli uomini anziché dare al propria impronta a tutto ciò che fanno.
Lei è Gesù vuole uscire da questa perversa spirale, autentica coazione a ripetere indotta dalla cultura fallocentrica dominante, tenta di riscrivere in chiave femminile la “storia” più maschile della Storia. Gesù, gli apostoli, il Sinedrio, Ponzio Pilato: uomini, uomini, uomini. Le donne sono madri, sorelle addolorate, peccatrici da salvare: comprimarie, per meglio esaltare le gesta dei maschi protagonisti. Gesuina cerca di appropriarsi di un suo posto preciso nella Storia, cerca di riscrivere il discorso della montagna («sulla montagna, perché della è sbagliato grammaticalmente») ma si scontra con il linguaggio codificato che da sempre relega il femminile nella marginalità o, al massimo, tra gli appunti di regia.
Attraverso dialoghi asciutti ed incisivi, con un occhio alla Bibbia e uno a Vogue, la ripetizione di movimenti precisi degni dei migliori mimi, gli strepitosi teatranti di Quotidiana.com (che firmano pure testo e regia dello spettacolo perseguendo valorosamente la riconosciuta poetica del rimescolamento dei sensi e della perdita di controllo) ci accompagnano lungo tutto il cammino, mai volgare ma certamente assai mordace, delle beatitudini in chiave moderna e femminile: «beati gli operatori di pace, perché moriranno prima degli altri in un conflitto a fuoco. È un modo come un altro di suicidarsi. […] Beati i perseguitati per causa della giustizia. Questo è il più complesso, il più attuale, ecco perché certa politica dice “sono perseguitato!”, l’hanno preso in alto il sostegno! […] Beati i misericordiosi, perché possono godere di aver donato disinteressatamente, quindi beati i comunisti illuminati… Che non se ne sono mai visti!»…
E nella frase «prima di andare in piazza ad ascoltare il primo che vi vuole in-cul-ca-re, in verità vi dico: sviluppate il vostro senso critico e non credete al primo messia», acuto lascito della sensibilità femminile di Gesuina, il cerchio si chiude e la trilogia trova il suo ideale compimento, drammaturgicamente perfetto, nella centralità della parola, nell’essenziale che si afferma al di là di ogni convenzione.
(Gaetana Evangelista, 9 giugno 2016)
Gesuina Superstar
La Bibbia, un numero di “Vogue”, e una bottiglia di acqua di Lourdes. Partono leggeri i Quotidiana.com per il loro viaggio sulle vie del sacro: un percorso ateo e scettico, che si infila nelle pieghe del dogma chiedendo ‘perché?’ senza accontentarsi di risposte preconfezionate. Lo stile è quello a cui il gruppo ci ha abituati in questi anni, nel rifiuto ostentato di ogni idea di rappresentazione. Niente storia, niente personaggi, niente intonazioni, niente sovrastrutture scenografiche: solo due esseri umani che parlano a mezza voce, scambiandosi idee in modo non consequenziale come accade a luce spenta prima di dormire. Ma il dialogo – ci hanno insegnato i Greci – è la forma filosofica per eccellenza, nel suo proporre punti di vista opposti in forma dialettica: così lo spiazzamento di senso diventa una peculiare forma di comicità teoretica, e arriva a formare un linguaggio teatrale con pochi paralleli nel panorama italiano. Lei è Gesù, terzo capitolo di Tutto è bene quel che finisce, segna una tappa significativa nel percorso del gruppo: il tema si circoscrive e l’asticella si alza, mentre la dimensione quotidiana (nomen omen!) che aveva caratterizzato la Trilogia dell’esistente resta sullo sfondo.
Sotto la lente del processo comico-gnostico della compagnia approdano qui il ruolo della donna, la capacità di persuasione delle masse e le potenzialità rivoluzionarie di un messaggio di uguaglianza. Ma cosa accadrebbe se il Messia fosse una donna? Come muterebbero gli insegnamenti e i discorsi? E la nostra società (quella di allora ma anche quella di oggi) sarebbe pronta ad ascoltare una voce femminile? Prende forma così, tra seri scherzi e fedeli blasfemie, la paradossale religione al femminile di Gesù-ina, con tanto di comandamenti e inni alla necessità di uno spirito critico. La drammaturgia punge il pubblico con stranianti nonsense e improvvise folgorazioni, ma l’andamento privo di scarti di ritmo e il procedimento per accumulo finiscono per creare cali di tensione (soprattutto nella parte centrale) e un certo senso di stasi. Varrebbe la pena, nelle prossime tappe del lavoro, cercare piccole esche per riagganciare l’attenzione del pubblico: in questa direzione sembra andare, per esempio, l’interessante partitura di movimento astratta e metafisica eseguita in parallelo dai due autori. Una soluzione che non tradisce la scelta radicalmente anti-mimetica del gruppo, ma che suggerisce un interessante terreno di indagine per il futuro.
(Maddalena Giovannelli, 5 giugno 2016)
[…]Di tutt’altra fattura, è Lei è Gesù di Quotidiana.com, terzo atto di una trilogia dal titolo “Tutto bene quel che finisce bene”.
Qui la frontalità diventa totale, unidimensionalità dello spettacolo che prende vita con due sedie e un unico e continuo dialogo fra un uomo e una donna, flusso quasi ininterrotto che inizia dopo che gli attori entrano in scena e si siedono fronte alla platea. Il primo elemento specifico dello spettacolo è una maggiore amplificazione del suono che risulta preponderante se unito alla cifra stilistica utilizzata; la sonorità, difatti, rientra in una veste estetizzante nella quale si propone il dialogo. Una Bibbia contro un numero di Vogue (“per avere un contraddittorio adeguato”). Un Gesù volto al femminile, donna provocatrice e femminista che alla semplice e spoglia sintassi del Nuovo Testamento ne sostituisce una decostruzione ironica, scomposta in giochi di parole e figure retoriche; se Vogue fosse uno stile espressivo, sarebbe quello di “Lei è Gesù”. Il pragmatismo tutto femminile non contempla il Discorso della Montagna, si burla della crocifissione, si nega al sacrificio, combatte la volontà del Padre. Riunisce invece gente alla Casetta dell’acqua, pensa agli apostoli come ad una torma di comparse ed assimila la Creazione ad un processo di produzione di uno spettacolo. Il risultato è un profluvio icastico dalle venature ironiche e pungenti; la staticità della scena è ricompensata dalla vivacità del botta e risposta con una gestualità calibrata e ironica, atta ad accompagnare l’abilità verbale degli interpreti, ma non è essa surrogato dell’azione scenica quanto dichiarato manifesto teatrale. Difatti la partitura e la natura recitativa che tale “manifesto” contempla sono costruite in base ad un centellinato controllo del ritmo in cui, nelle relative pause, ci sono i vuoti di senso ed il completo disorientamento del nostro tempo, caratteristica fondamentale della poetica dei Quotidiana.com.
(Esther Formato, Paneacqua, 11 giugno 2016)