Una vita senza condanne è una vita non spesa.
Fare parte del popolo degli onesti – o tali in linea di massima – ti esclude da tutta una serie di opportunità e privilegi di cui non ti puoi avvalere.
In vista delle prossime elezioni, come una sorta di purificazione, il governo italiano ha deciso di indossare il vestito nuovo, peccato che le mutande siano le stesse del ventennio.
Con un po’ di affanno visto il tanto lavoro da fare, che non impedisce però al Consiglio dei Ministri di iniziare la seduta con un’ora e mezzo di ritardo, si sta cercando di approntare – con sagacia criminale – un decreto per l’incandidabilità dei condannati.
C’è però il rischio di escluderne troppi, di azzerare le nomination, così si è stabilito un tetto, una sorta di franchigia al contrario: non è candidabile a cariche politiche elettive colui/colei che ha subito una condanna definitiva superiore a quattro anni.
Manica larga, molto larga per un governo così rigoroso quale il governo Monti. Ma tanto noi cittadini che ne sappiamo?
Sapete quanti reati possono rientrare nella pena fino ai quattro anni? La corruzione ad esempio, che è il reato più in voga tra deputati e senatori. Ciò significa che il decreto mantiene in gioco questi “signori”, oltretutto legittimamente.
Se poi si aggiunge che già esiste una legge che prevede l’interdizione dai pubblici uffici per condanne fino a tre anni, che bisogno c’era di farne un’altra che addirittura dilata i margini di tolleranza a quattro?
Forse perché Silvio Berlusconi, condannato in primo grado a quattro anni nel processo Mediaset, se condannato in via definitiva, rischia l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici.
Anche il governo Monti sta fottendo gli italiani, un colpo basso dopo l’altro. E c’è ancora chi si chiede da che parte sta.